La marcia fu ordinata, se non tranquilla. Gli Austriaci, che avevano patite di molte perdite, non osarono inquietarle.
I nostri giunti a Montebelluna, non trovandovi truppa stanziale, gridarono ad alta voce essere ingannati dal Ferrari, traditi dal Durando, venduti al nemico; e tanta paura e tanto disordine entrò in quelle legioni, che pocanzi avevano sì gagliardamente combattuto, che, sciogliendo il freno della disciplina, si diedero a fuggire verso Treviso. Fu giuocoforza al Ferrari seguire le improntitudini dei suoi e col resto della sua divisione abbandonare la Piave. Egli sperava confortare gli animi, contenere la corsa, riordinare i volontari, e riprendere Montebelluna prima che il nemico potesse occuparla. Senza porre tempo di mezzo, egli partecipava i lamentevoli eventi al Durando acciò lo soccorresse; scriveva al generale Guidotti di difendere colla sua brigata i posti occupati, o si ritirasse su quel punto che stimasse il migliore; ed eguale ordine trasmetteva al colonnello Gallieno. Inutile cura; il primo si poneva ad eseguire delle marce e contromarce a suo talento senza recare soccorso al compagno; i secondi erano già in marcia precipitosa verso Treviso. Veduta ormai vana ogni resistenza, Ferrari dirigevasi anch'esso per quest'ultima città.
Il Nugent, non trovando opposizione veruna da parte di Durando, e degli altri corpi, muoveva le sue genti per a Treviso in tre punti diversi, Il Ferrari dava disposizioni per la difesa; ma alcune sue truppe, andate in ricognizione sulla via di Spresiano, sorde alle voce del dovere e dell'onore, allo apparire degli Austriaci, ripiegavano in tumulto per colpa di alcuni capi, a cui il governo di Gregorio XVI aveva dato gradi supremi in grazia di turpi e nefandi meriti.
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