Pochi furono i prigionieri fatti; ben più i disertori, dai quali seppesi la gravità delle perdite sofferte dall'oste nemica.
In quella fazione si distinsero il Lazzeretti, il Carminati, il Peckliner, il Michelazzi, il Simoncini, il Bresciani, il Carchidio, il Geri, il Zanetti, il Molli, il Renard, il Barzacchini, il Parra e molti altri. Noteremo pure il fatto d'un granatiere, che merita di essere ricordato. Questi, che il soverchio dell'audacia aveva lasciato solo in mezzo ad un drappello ungherese, veniva tolto prigione ed avviato verso Mantova. In una rivolta, côlto il destro, faceva cadere un nemico, l'altro disarmava ed uccideva, il già caduto malamente feriva, e colle armi tinte del sangue straniero, ritornava fra i suoi.
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Noi ebbimo ad accennare all'improvvido richiamo dei volontari dal Tirolo. Essi rientrarono in Brescia laceri e scalzi; pochi erano i forniti di cappotti o di mantelli; e quella povertà di vestiti, que' visi incotti dal sole ed emaciati dai patimenti; quell'andare spavaldo, che assume comunemente chi ha sacrificati i propri interessi e rischiata la vita a pro della patria in faccia a coloro che cooperano coi soli voti a quei sacrifici e a que' rischi, invece di renderli bene accetti alla popolazione, li faceva malvisi ed insultati. Domandarono di far parte dell'esercito regolare; e la domani erano passati in rassegna dal colonnello piemontese Cresia. Quell'ufficiale, anzichè parlar loro d'Italia, della santa guerra combattuta, pronunciò parole enfatiche sul Piemonte, su Carlo Alberto, sulla disciplina dell'esercito regio.
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