I volontari, a que' detti, risposero tumultuariamente che essi volevano bensì combattere, ma per l'Italia tutta, e non agli ordini di un re. E al grido di Viva il Re promosso dal Cresia, risposero con Viva la Repubblica! Il governo provvisorio seppe tuttavia rappattumarli; li vestì convenientemente, li ordinò alla meglio, e, postili sotto gli ordini del generale Durando, fratello all'altro che trovavasi alla testa delle truppe papaline, li dirigeva pel Caffaro a trattenere l'impeto dei nemici tra i claustri delle Alpi.
Gli Austriaci campeggiavano in Vai di Ledro; essi sapevano che que' volontari, per naturale incuria, mal custodivano i loro posti, e che nei dì festivi si davano tempone, per cui l'indomani giacevano briachi e bisognosi di quiete.
In sull'albeggiare del 22 maggio, i nemici, silenziosi si avanzarono verso i nostri. I primi a vedere le colonne austriache furono i volontari di Beretta e quelli d'Anfossi, i quali si davano a precipitosa fuga. Fortuna volle che il tenente Guerini tenesse fermo colle sue artiglierie e rispondesse al cannoneggiare e alla fucilata del nemico. Il generale, avvisato a Vestone del disastro, accorreva col suo stato maggiore. In Sant'Antonio s'imbatteva nei fuggenti; egli snudava la spada, minaccioso li incalzava, e, spingendo gli uni sugli altri, riusciva a riordinarli.
Luciano Manara, avvertito anch'esso a tempo, muoveva co' suoi da Salò, toglieva seco le guide del Tirolo, comandate da Thannberg, e, passando per Rocca d'Anfo, si riduceva a Sant'Antonio, ove la via si biforca, l'una scendendo al palazzo del Caffaro, l'altra ascendendo al monte Suelo.
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