Anche ai ministri meno veggenti si presentava il bisogno di avere non già per vanità e per pompa una cattedra nel pubblico Studio di Napoli; ma più e più geologi e mineralogisti, i quali avessero potuto disaminare e scorrere e studiare la natura, più che sulle pagine, nelle viscere de' nostri terreni, quasi lasciati vergini e sconosciuti al martello e alla trivella del ricercatore.
Per le quali considerazioni il ministro dell'Interno indusse il Pilla a lasciare quel posto di chirurgo militare, alla cui gloria davvero non aspirava, nè poteva aspirare il geologo, e a mostrarsi cittadino veramente utile ed operoso, in que' tempi d'industria nazionale, nelle ricerche e nelle aperture delle miniere; tanto più che, morto di recente il vecchio professore dell'Università, poteva un dì più che l'altro ascendere meritamente a quell'offizio. Dovette egli credere a cotesta spacciata protezione, la quale non era punto quell'altra, più povera forse, ma subita e pronta e franca del soldato; era la protezione tronfia, magnificante, abbottonata dell'uomo di Stato, secondo i tempi infausti e codardi. Gli si voleva mostrare il posto vuoto, perchè la scienza fosse stata cortigiana e stesse inchinata innanzi al superbo ministro, e intanto il Pilla rimaneva senza l'antico officio modesto, e senza il magnanimo soccorso annunziato.
Si accorse dunque, come aveva già avuto sempre in animo, dover meglio fondare sul favore del popolo e dell'universale, che su quello del famoso Mecenate; talchè non si addormentò su' guanciali delle promesse de' Grandi, ma guardò alla scienza e alla sua fama, e nel 1836 fece un viaggio nella Sicilia e nella Calabria per studiare l'attacco degli Appennini, come lo dimostrano certe sue scritture.
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