Raffaele Luti, bersagliere, nacque ai 24 ottobre 1826 a Sant'Angelo. A 19 anni andava all'Università. La medicina, come scienza d'affetto, ministero di carità e scuola di verità, gli piacque meglio, e l'abbracciò non come mezzo venale di brancicarsi così materialmente, ma come scopo santissimo da intendervi anima, ingegno, vita, tutto sè stesso.
Andato a Pisa, anzichè sfrenarsi a una vita sollazzevole e lieta, parve raccogliersi più che mai nella sua abituale melanconia, melanconia mista a una certa alterezza, che ai pusilli pareva superbia, e non era; era invece sentimento della dignità dell'uomo, era tensione continua dell'anima a cose alte e generose. Parlava poco, ma con posatezza soave, con un senno, spesso sovra l'età; co' maggiori di sè ei si teneva in silenzio, i ciarlatani tanto di caffè che di trivio che allora allora erudivano, nè anche d'uno sguardo li avrebbe degnati.
Una madre tenerissima lo richiamava ogni dì tra gli affanni di un dolore disperato; la salute stessa cominciava a pericolare. Qual cosa più potente in un'anima buona delle preghiere d'una madre? Povero Raffaello! Si hanno sott'occhio le lettere sue d'allora; chi sa le lagrime di cui le bagnava! che sforzo gli sarà costato lo scrivere al tuo fratello Luigi, che pur lo pregava a tornare: "Chi sente l'onore, non macchia la vita di quest'obbrobrio. Intendo l'angoscia d'una madre e d'un padre; il pensiero mi strazia l'anima, e mi adiro col mio destino, che non mi diede genitori simili a quelli che scrivono a' figli: "non tornare a casa, se non onorato; tutto sacrifica alla patria.
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