Però se gli altri seguitano col conforto della famiglia, io col disconforto, ho un merito doppio, peno doppiamente: consola e persuadi. Cosa difficile, comprendo, parlare all'affetto, perchè, perdio, non si può parlare alla ragione.
Queste parole ei le scriveva da Reggio il giorno di Pasqua, 23 aprile, le quali parole ogni giovane italiano vorrebbe saper dire a 22 anni; ed esse come valgono ad onorare una vita intiera, così le vogliamo scolpite a ricordanza di sì caro nome, a vergogna delle ignave e stolte superbie, ad eccitamento di maschie virtù, in luogo sacro ai martiri della patria.
Alberto Acconci, bersagliere, nato a Pisa il 9 dicembre 1828. Alberto nell'allontanarsi dalla casa paterna sentiva palpitare il suo cuore diviso in due affetti. - La speranza di salvare la patria, il dolore di aver lasciato i suoi cari genitori. Vinto però dal suo primo dovere, la mattina del dì ventidue marzo 1848 si unì alla Civica pisana, salì nel convoglio della ferrovia lucchese, e, giunto a Lucca, si diresse a Pietrasanta, da Pietrasanta a Fivizzano, e quivi, unitosi al battaglione senese, traversò gli Appennini.
Colà il padre gli scriveva perchè ritornasse in patria presso l'adorata famiglia, la quale non attendeva che il momento di riabbracciarlo. Ed egli rispondeva in questo tenore: - "Se ella è mio padre, non mi discorra di tornare adesso, che vi è qualche pericolo. Fino dalla mia prima età ho sognato questo momento, e adesso che è giunto non dovrei approfittarne?" - E soggiungeva - "Dica da parte di tutti coloro che sono qua con me, quei tali che ci chiamano vagabondi, dica loro, che se non si crepa tutti, torneremo, e sapremo loro rispondere, che il vile ha sempre bisogno di una scusa per nascondere agli occhi di tutti la sua dappocaggine.
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