Molti ufficiali superiori erano nell'appartamento ove trovavasi il re; e - per la più parte impaurati e sgomenti - mal presagivano su ciò che potesse: avvenire. Il rumore della strada cresceva; su per le scale l'orda de' furiosi addoppiavasi, al cui empito i carabinieri a dura prova potevan resistere. Quand'ecco entra nell'anticamera il maggior generale, conte Maurizio Nicolis di Robilant, e voltosi agli astanti: "Spero, signori, che noi sguaineremo la spada a difesa della persona del Re." Quindi si fa sulla scala e tenta acquetar l'ira negli animi concitati. Il tenente colonnello Ardoino - antico patriota che le calunnie de' retrogradi avevano nel 33 colorato colle tinte dell'assassino e costrettolo per quindici anni a spendere il proprio valore per tutelare dal dispotismo le non sue contrade - per meglio aggiungere lo intento pietoso, vi si slancia egli pure; ed udito come il capo de' sediziosi, giovane dalla barba e dai capelli biondissimi, parlasse italiano con forestiero accento, con sicurtà grande esclama: "Poveri illusi! Io conosco costui nel qual voi fidate! Non è già un nostrano. Egli è un tedesco, mandato dal suo governo a seminar zizzanie fra noi, a far nascere contese civili, acciò nel mentre che gl'Italiani si sgozzan tra loro, entrino qui gli imperiali." Il manigoldo balbetta parole confuse, si guarda intorno, legge l'ira sur ogni volto e dassi a fuggire. E tutti lo seguono a precipizio. Ma quei della strada sommano già a più centinaia. I pericoli, i timori si fanno più forti.
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