Un tribuno di plebe salito sur una sedia, chiede con baldanza che il Re si presenti; e Carlo Alberto apre le imposte e francamente si mostra sul verone; e per alcun tempo vi rimane segno a parecchie archibugiate e ad invettive le più grossolane. L'orator su accennato - reso ardito e potente dalla bassa moltitudine che dominava - si rifà accusatore del principe per la sua fuga del 21; ricorda gl'imprigionamenti, gli esilii, le morti, le sevizie comandate dal Re dodici anni più tardi; ripete i sospetti di tradimento nel campo; lo dichiara vie più traditore in Milano; e consiglia la commossa ciurmaglia ad atti colpevoli, ribaldi. E gli accorati dalle ruine della patria, che omai a tutto credevano, addoppiavano gl'impeti e le ingiurie contro re Carlo Alberto, il quale, sereno in tanto gravi perigli, pone la mano sul petto, quasi per dimostrare la propria lealtà e resta segnacolo di ben altri colpi. "O guerra o morte" seguitano ad urlare tra le imprecazioni ed i fischi quei della strada. Ed il duca di Genova, credendo che quegli arditi sarebbero stati capaci a tener la promessa - e lo avrebbero potuto, se i fatti non fossero fortunatamente più difficili delle parole - rispondeva loro com'egli, ammirando l'animo dei cittadini milanesi, sarebbesi posto alla loro testa per vincere o morire con essi. La folla applaudì; ma qualcun sorse per chiedere che il Re di sua bocca confermasse quel voto. Richiesto, si presentò di bel nuovo; il popolo, però avea mutato mente, giacchè un altro oratore, sur una sedia, avea detto che per esser sicuri facea d'uopo vedere il nero sul bianco ed emetter fuori una promessa in istampa.
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