Ma re Carlo Alberto, informato del pensier generoso che movea le sue genti e deciso a tutt'uomo d'impedire la fratricida discordia ordinò pace ed obblio.
Dovess'anche questo popolo assassinarmi" egli disse "non permetterò giammai che i miei soldati si pongano al rischio di versare il sangue italiano!" Il duca di Genova, malgrado l'ordine di raggiungere la propria divisione, volle rimanersi presso suo padre per tutelarne a qualunque costo la vita. Il sergente Orengo, giacente ferito nell'ospedale, trascinossi fino al palazzo Greppi, e appoggiato l'infermo corpo ad una colonna della porta, rispose alle minacce di morte colle grida reiterate di "Viva il Re!" Serbino queste pagine il ricordo di una fedeltà così coraggiosa. Il colonnello d'artiglieria Alfonso della Marmora, scorgendo come i forsennati si affaticassero nello adattar sotto l'uscio un barile di polvere con sinistre intenzioni, si gittò da una finestra nel giardino e coll'aiuto de' bersaglieri e di un battaglione della brigata Piemonte infugò quegli arditi, che mai più ricomparvero. Verso il mezzo della notte, Carlo Alberto, saputo come lo arcivescovo e il podestà avessero - a nome del municipio - stipulato i capitoli sulle sorti della città, col cuore angosciato ed oppresso deliberò rientrare nei proprii Stati. Una più lunga dimora potea compromettere il popolo, l'esercito e sè medesimo. Escì dunque dal palazzo e si diresse a piedi alla volta della porta Orientale; dopo breve riposo continuò il cammino per porta Vercellina in mezzo alle tenebre più profonde, tra il rintocco delle campane a stormo, tra lo scoppio della moschetteria che diè morte a parecchi soldati al suo fianco.
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