A casa non erano ricchi, per dir la verità; il babbo aveva un piccolo impiego nell'amministrazione delle ferrovie, e la mamma ricamava; ma da molto tempo la sua vista s'era indebolita, e allora la Principessa era entrata in un magazzino di mode per aiutare alquanto la famiglia.
Colà, un po' le belle vesti che vedeva, un po' le belle parole che le si dicevano, un po' l'esempio, un po' la vanità, un po' la facilità, un po' le sue compagne e un po' quel giovanotto che si trovava sempre sui suoi passi, avevano fatto il resto. Non avea capito di aver fatto il male, che allorquando aveva sentito il bisogno di nasconderlo ai suoi genitori: il babbo era un galantuomo, la mamma una santa donna; sarebbero morti di dolore se avessero potuto sospettare la cosa, e non l'aveano mai creduto possibile, giacché avevano esposto la figliuola alla tentazione. La colpa era tutta sua... o piuttosto non era sua; ma di chi era dunque? Certo che non avrebbe voluto conoscere quell'altro, ora che conosceva il suo Paolo, e quando Paolo l'avrebbe lasciata non voleva conoscer più nessuno...
Parlava a voce bassa, sonnecchiando, appoggiando il capo sulla spalla di lui.
Allorché uscirono dal Biffi indugiarono alquanto pel cammino, rifacendo tutta la triste via crucis dei loro cari e mesti ricordi: la cantonata dove s'erano incontrati, il marciapiedi sul quale s'erano fermati a barattar parole la prima volta. - To'! - dicevano, - è qui! - No è più in là -. Andavano come oziando, intontiti; nel separarsi si dissero - a domani -.
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Principessa Paolo Paolo Biffi
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