Lina comparve un po' tardi, con un viso di donna che ha l'emicrania, ma calma e serena. Donati le domandò come si sentisse. Ella gli piantò gli occhi in faccia, due occhi che gli fecero l'effetto di due chiodi, e rispose secco secco: - Bene -.
Fu la prima sera passata freddamente. D'allora in poi ce ne furono parecchie di simili. Lina agucchiava, Donati suonava o leggeva, e Corsi s'ingegnava di attaccare uno scampolo di conversazione, alla quale la moglie rispondeva con monosillabi tenendo gli occhi fitti sul lavoro, e Donati con una specie di grugnito senza lasciare il libro, né il sigaro; persino Corsi, allegro per natura ed espansivo, diveniva anch'esso taciturno ed uggito; spirava un'aria di musoneria in casa sua che agghiacciava tutto. Si lasciavano di buon'ora, Lina porgeva appena la mano: qualche volta non compariva che un momento per dare la buona notte.
Il povero Donati non sapeva darsi pace. Si sentiva colpevole, ma la colpa maggiore era stata quella di esagerare il male che aveva fatto, colla sua aria di reo; e chiamava in aiuto tutti i santi, perché gli dessero il coraggio di prendere una buona volta la Lina a quattro occhi e dirle: - Orsù, infine, cos'avete? cosa è stato? cosa ho fatto? - Ma quella domanda semplicissima diveniva la cosa più difficile di questo mondo. Il nuovo contegno di lei, la sua riservatezza, la sua freddezza insolita, la rendevano tutt'altra donna, una donna che gli chiudeva in bocca le perorazioni più eloquenti, e gli legava la lingua e i movimenti.
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