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      - Vede? - diss'ella con quel sorriso incerto e colla voce mal ferma. - C'è qualche cosa che vive e si agita lassù!
      - Gli spettri della leggenda.
      - Chissà!
      - Cotesto è il quarto d'ora delle storie...
      - Oppure...
      - Oppure cosa?
      - Chissà... Cosa fa mio marito?
      - Giuoca a tresette.
      - E la signora Olani?
      - Sta a guardare.
      - Ah!...
      - Mi racconti la sua storia... - riprese da lì a poco, con singolare vivacità - se non le rincresce per la sua polca -.
      La storia che Luciano raccontò era strana davvero!
      La seconda moglie del barone d'Arvelo era una Monforte, nobile come il re e povera come Giobbe, forte come un uomo d'arme e tagliata in modo da rispondere per le rime alla galanteria un po' manesca di don Garzia, e da promettergli una nidiata di d'Arvelo, numerosi come le uova che avrebbe potuto covare la chioccia più massaia di Trezza. Prima delle nozze, le avevano detto degli spiriti che si sentivano nel Castello, e che la notte era un gran tramestìo pei corridoi e per le sale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate, senza sapere come né da chi - usci e finestre ch'erano stati ben chiusi il giorno innanzi - che si udivano gemiti dell'altro mondo, e scrosci di risa da far venire le pelle d'oca al più ardito scampaforche che avesse tenuto alabarda e vestito arnese. Donna Isabella avea risposto che, fra lei e un marito come, al vedere, prometteva esserlo don Garzia, ella non avrebbe avuto paura di tutte le streghe di Spagna e di Sicilia, né di tutti i diavoli dell'inferno. Ed era donna da tener parola.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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