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Il Rosso si grattò il capo e rispose:
- È stato che un'ora prima dell'alba si è messo a soffiare lo scirocco.
- Sarà benissimo, ma se le finestre fossero state ben chiuse, lo scirocco non avrebbe potuto farle ballare come una ragazza che abbia il male di San Vito. Ora bada bene al tuo dovere, marrano! ché nel castello intendo tutto vada come l'orologio che è sul campanile della chiesa, adesso che son qua io.
- Messere, voi siete il padrone, - rispose il Rosso esitando, - ma quella finestra lì bisogna lasciarla aperta.
- Dimmi il perché.
- Perché quando si chiude la finestra si sente...
- Eh?
- Si sente, messere!
- Malannaggia l'anima tua! - urlò il barone dando di piglio ad uno stivale per buttarglielo in faccia.
- Messere, voi potete ammazzarmi, se volete, ma ho detto la verità.
- Chi te l'ha soffiata cotesta verità, briccone maledetto?
- Ho visto e udito come vedo ed odo voi, che siete in collera per mia disgrazia e senza mia colpa.
- Tu?
- Io stesso.
- Tu mi rubi il vino della mia cantina, scampaforche!
- Io non avevo bevuto né acqua né vino, messere.
- Tu mi diventi poltrone, dunque! un gatto che fa all'amore ti fa paura. Diventi vecchio, Rosso mio, arnese da ferravecchi, e ti butterò fuori del castello con un calcio più sotto delle reni.
- Messere, io sono buono ancora a qualche cosa, quando mi metterete in faccia a una dozzina di diavoli in carne e ossa, che possano raggiungersi con un buon colpo di partigiana, o che possano ammazzare me come un cane; ma contro un nemico il quale non ha né carne né ossa, e vi rompe il ferro nelle mani come voi fareste di un fil di paglia, per l'anima che darei al primo cane che la volesse! non so cosa potreste fare voi stesso, sebbene siate tenuto il più indiavolato barone di Sicilia -.
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