IX.
Donna Violante non chiuse occhio in tutta la notte. Stava col gomito sul guanciale, fissando uno sguardo intraducibile, immobile, instancabile, su quel marito che dormiva tranquillo accanto a lei, di cui l'alito avvinazzato le sfiorava il viso, e il quale l'avrebbe stritolata sotto il suo pugno di ferro, se avesse potuto immaginare quali fantasmi passassero per gli occhi sbarrati di lei. E all'indomani, colle guance accese di febbre, e il sorriso convulso, gli disse:
- Non vi pare che sarebbe tempo di cercare un altro paggio, don Garzia?
- Perché?
- Corrado non è più un ragazzo; e voi lasciate troppo spesso sola vostra moglie, perché egli possa starle sempre vicino senza dar da ciarlare ai vostri nemici -.
Il barone aggrottò le ciglia, e rispose:
- Amici e nemici mi conoscono abbastanza perché né la cosa né le ciarle siano possibili -.
Sugli occhi della donna lampeggiò un sorriso da demone.
- E poi, - aggiunse don Garzia, - vi stimo abbastanza per temere che voi, nobile e fiera, possiate scendere sino ad un paggio -. E buttandole galantemente le braccia al collo accostò le sue labbra a quelle di lei. Ella, bianca come una statua, gli rese il bacio con insolita energia.
Nondimeno, malgrado l'alterigia baronale, e la fiducia nella sua possanza, don Garzia era tal vecchio peccatore da non dormir più tranquillo i suoi sonni una volta che gli era stata messa nell'orecchio una pulce di quella fatta, e, andato a trovar Corrado:
- Orsù, bel giovane, - gli disse, - eccoti questo borsellino pel viaggio, e queste due righe di benservito, e vatti a cercar fortuna altrove -.
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