Nedda sporse la sua scodella, e la castalda ci versò quello che rimaneva di fave nella pentola, e non era molto.
- Perché vieni sempre l'ultima? Non sai che gli ultimi hanno quel che avanza? - le disse a mo' di compenso la castalda.
La povera ragazza chinò gli occhi sulla broda nera che fumava nella sua scodella, come se meritasse il rimprovero, e andò pian pianino perché il contenuto non si versasse.
- Io te ne darei volentieri delle mie, - disse a Nedda una delle sue compagne che aveva miglior cuore; - ma se domani continuasse a piovere... davvero!... oltre a perdere la mia giornata non vorrei anche mangiare tutto il mio pane.
- Io non ho questo timore! - rispose Nedda con un triste sorriso.
- Perché?
- Perché non ho pane di mio. Quel po' che ci avevo, insieme a quei pochi quattrini, li ho lasciati alla mamma.
- E vivi della sola minestra?
- Sì, ci sono avvezza; - rispose Nedda semplicemente.
- Maledetto tempaccio, che ci ruba la nostra giornata! - imprecò un'altra.
- To', prendi dalla mia scodella.
- Non ho più fame; - rispose la varannisa ruvidamente, a mo' di ringraziamento.
- Tu che bestemmi la pioggia del buon Dio, non mangi forse del pane anche tu? - disse la castalda a colei che aveva imprecato contro il cattivo tempo. - E non sai che pioggia d'autunno vuol dire buon anno? -
Un mormorio generale approvò quelle parole.
- Sì, ma intanto son tre buone mezze giornate che vostro marito toglierà dal conto della settimana! -
Altro mormorio d'approvazione.
- Hai forse lavorato in queste tre mezze, perché ti s'abbiano a pagare?
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Nedda Nedda Nedda Dio
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