- Dieci lire. Ma non abbiate paura, mamma! Io lavorerò! -
La vecchia la guardò a lungo coll'occhio semispento, e poscia l'abbracciò senza aprir bocca. Il giorno dopo vennero i becchini, il sagrestano e le comari. Quando Nedda ebbe acconciato la morta nella bara, coi suoi migliori abiti, le mise tra le mani un garofano che aveva fiorito dentro una pentola fessa, e la più bella treccia dei suoi capelli; diede ai becchini quei pochi soldi che le rimanevano perché facessero a modo, e non scuotessero tanto la morta per la viottola sassosa del cimitero; poi rassettò il lettuccio e la casa, mise in alto, sullo scaffale, l'ultimo bicchiere di medicina, e andò a sedersi sulla soglia dell'uscio, guardando il cielo.
Un pettirosso, il freddoloso uccelletto del novembre, si mise a cantare tra le frasche e i rovi che coronavano il muricciuolo di faccia all'uscio, e saltellando fra le spine e gli sterpi, la guardava con certi occhietti maliziosi come se volesse dirle qualche cosa: Nedda pensò che la sua mamma, il giorno innanzi, l'aveva udito cantare. Nell'orto accanto c'erano delle olive per terra, e le gazze venivano a beccarle; ella le aveva scacciate a sassate, perché la moribonda non ne udisse il funebre gracidare; adesso le guardò impassibile, e non si mosse; e quando sulla strada vicina passarono il venditore di lupini, o il vinaio, o i carrettieri, che discorrevano ad alta voce per vincere il rumore dei loro carri e delle sonagliere dei loro muli, ella diceva: - costui è il tale, quegli è il tal altro -. Allorché suonò l'avemaria, e s'accese la prima stella della sera, si rammentò che non doveva andar giù per le medicine a Punta, ed a misura che i rumori andarono perdendosi nella via, e le tenebre a calare nell'orto, pensò che non aveva più bisogno d'accendere il lume.
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Nedda Nedda Punta
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