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      La pentola rotta, posta sul davanzale, era ricca di garofani in boccio.
      - Che peccato, - disse Nedda, - che non ce ne siano di fioriti! - e spiccò il più grosso bocciolo e glielo diede.
      - Che vuoi che ne faccia se non è sbocciato? - diss'egli senza comprenderla, e lo buttò via. Ella si volse in là.
      - E adesso dovrai andare a lavorare? - gli domandò dopo qualche secondo.
      Egli alzò le spalle: - Dove andrai tu domani!
      - A Bongiardo.
      - Del lavoro ne troverò; ma bisognerebbe che non tornassero le febbri.
      - Bisognerebbe non star fuori la notte a cantare dietro gli usci! - gli diss'ella tutta rossa, dondolandosi sullo stipite dell'uscio con certa aria civettuola.
      - Non lo farò più, se tu non vuoi -.
      Ella gli diede un buffetto, e scappò dentro.
      - Ohé! Janu! - chiamò dalla strada lo zio Giovanni
      - Vengo! - gridò Janu; e alla Nedda: - Verrò anch'io a Bongiardo, se mi vogliono.
      - Ragazzo mio, - gli disse lo zio Giovanni quando fu sulla strada, - la Nedda non ha più nessuno, e tu sei un bravo giovinotto; ma insieme non ci state proprio bene. Hai inteso?
      - Ho inteso, zio Giovanni; ma se Dio vuole, dopo la messe, quando avrò da banda quel po' di quattrini che ci vogliono, insieme ci staremo benissimo -.
      Nedda, che aveva udito da dietro il muricciolo, si fece rossa, sebbene nessuno la vedesse.
      L'indomani, prima di giorno, quand'ella si affacciò all'uscio per partire, trovò Janu, col suo fagotto infilato al bastone.
      - O dove vai? - gli domandò.
      - Vengo anch'io a Bongiardo, a cercar lavoro -.
      I passerotti, che si erano svegliati alle voci mattutine, cominciarono a pigolare dietro il nido.


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di Giovanni Verga
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