La campana, dal fondo del burrone, non si udiva più, i viandanti si erano fatti più rari, e quei pochi che passavano avevano fretta di arrivare alla fiera. Il povero Jeli non sapeva a qual santo votarsi in quella solitudine: lo stesso Alfio, da solo, non poteva giovargli per niente; perciò costui andava sbocconcellando pian piano il suo pezzo di pane.
Finalmente si vede venire a cavallo il fattore, il quale da lontano stripitava e bestemmiava accorrendo, al vedere gli animali fermi sulla strada, sicché lo stesso Alfio se la diede a gambe per la collina. Ma Jeli non si mosse d'accanto allo stellato. Il fattore lasciò la mula sulla strada, e scese nel burrone anche lui, cercando di aiutare il puledro ad alzarsi, e tirandolo per la coda. - Lasciatelo stare! - diceva Jeli, bianco in viso come se si fosse fracassate le reni lui. - Lasciatelo stare! Non vedete che non si può muovere, povera bestia? -
Lo stellato infatti ad ogni movimento, e ad ogni sforzo che gli facevano fare, metteva un rantolo che pareva un cristiano. Il fattore si sfogava a calci e scapaccioni su di Jeli, e tirava pei piedi gli angeli e i santi del paradiso. Allora Alfio più rassicurato era tornato sulla strada, per non lasciare le bestie senza custodia, e badava a scolparsi dicendo:
- Io non ci ho colpa. Io andavo innanzi colla bianca.
- Qui non c'è più nulla da fare, - disse alfine il fattore, dopo che si persuase che era tutto tempo perso. - Qui non se ne può prendere altro che la pelle, finch'è buona -.
Jeli si mise a tremare come una foglia, quando vide il fattore andare a staccare lo schioppo dal basto della mula.
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