Infatti Mara non era nata a far la pecoraia, e non ci era avvezza alla tramontana di gennaio, quando le mani si irrigidiscono sul bastone, e sembra che vi caschino le unghie, e ai furiosi acquazzoni, in cui l'acqua vi penetra fino alle ossa, e alla polvere soffocante delle strade, quando le pecore camminano sotto il sole cocente, e al giaciglio duro e al pane muffito, e alle lunghe giornate silenziose e solitarie, in cui per la campagna arsa non si vede altro di lontano, rare volte, che qualche contadino nero dal sole, il quale si spinge innanzi silenzioso l'asinello, per la strada bianca e interminabile. Almeno Jeli sapeva che Mara stava al caldo sotto le coltri, o filava davanti al fuoco, in crocchio colle vicine, o si godeva il sole sul ballatoio, mentre egli tornava dal pascolo stanco ed assetato, o fradicio di pioggia, o quando il vento spingeva la neve dentro il casolare, e spegneva il fuoco di sommacchi. Ogni mese Mara andava a riscuotere il salario dal padrone, e non le mancavano né le uova nel pollaio, né l'olio nella lucerna, né il vino nel fiasco. Due volte al mese poi Jeli andava a trovarla, ed ella lo aspettava sul ballatoio, col fuso in mano; poi quando gli aveva legato l'asino nella stalla e toltogli il basto e messogli la biada nella greppia, e riposta la legna sotto la tettoia nel cortile, o quel che portava in cucina, Mara l'aiutava ad appendere il tabarro al chiodo, e a togliersi le gambiere fradice, davanti al focolare, e gli versava il vino, mentre la minestra bolliva allegramente, ed ella apparecchiava il desco, cheta cheta e previdente come una brava massaia, nel tempo stesso che gli parlava di questo e di quello, della chioccia che aveva messo a covare, della tela che era sul telaio, del vitello che allevavano, senza dimenticare una sola delle faccenduole di casa, ché Jeli si sentiva di starci come un Papa.
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