Jeli invece ci viveva beato e contento nel vituperio, e s'ingrassava come un maiale, “ché le corna sono magre, ma mantengono la casa grassa!”.
Una volta infine il ragazzo della mandra glielo disse in faccia, una volta che vennero alle brutte, per certe pezze di formaggio tosate. - Ora che don Alfonso vi ha preso la moglie, vi pare di essere suo cognato, e avete messo superbia che vi par di esser un re di corona, con quelle corna che avete in testa -.
Il fattore e il campaio si aspettavano di veder scorrere il sangue allora; ma invece Jeli stette zitto quasi non fosse fatto suo, con una faccia di grullo che le corna gli stavano bene davvero.
Ora si avvicinava la Pasqua e il fattore mandava tutti gli uomini della fattoria a confessarsi, colla speranza che pel timor di Dio non rubassero più. Jeli andò anche lui, e all'uscir di chiesa cercò del ragazzo con cui erano corse le male parole e gli buttò le braccia al collo dicendogli:
- Il confessore mi ha detto di perdonarti; ma io non sono in collera con te per quelle chiacchiere; e se tu non toserai più il formaggio a me non me ne importa nulla di quello che mi hai detto nella collera -.
Fu da quel momento che lo chiamarono per soprannome Corna d'oro, e il soprannome gli rimase, a lui e tutti i suoi, anche dopo che ci si lavò le corna, nel sangue.
La Mara era andata a confessarsi anche lei, e tornava di chiesa tutta raccolta nella mantellina, cogli occhi bassi che sembrava una Santa Maria Maddalena. Jeli che l'aspettava taciturno sul ballatoio, come la vide venire a quel modo, che si vedeva come ci avesse il Signore in corpo, la stava a guardare pallido pallido dai piedi alla testa, quasi la vedesse per la prima volta, o gliela avessero cambiata, la sua Mara, e neppure osava alzare gli occhi su di lei, mentre ella sciorinava la tovaglia, e metteva in tavola le scodelle, tranquilla e pulita al suo solito.
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