Tutto ciò urtava maledettamente i nervi ai devoti di San Pasquale, sicché uno di loro alla fine smarrì la pazienza, e si diede a urlare, pallido dalla bile: - Viva San Pasquale! - Allora s'erano messe le legnate.
Certo andare a dire “viva San Pasquale” sul mostaccio di San Rocco in persona è una provocazione bella e buona; è come venirvi a sputare in casa, o come uno che si diverta a dar dei pizzicotti alla donna che avete sotto il braccio. In tal caso non c'è più né cristi né diavoli, e si mette sotto i piedi quel po' di rispetto che si ha anche per gli altri santi, che infine fra di loro son tutt'una cosa. Se si è in chiesa, vanno in aria le panche; nelle processioni piovono pezzi di torcetti come pipistrelli, e a tavola volano le scodelle.
- Santo diavolone! - urlava compare Nino, tutto pesto e malconcio. - Voglio un po' vedere chi gli basta l'anima di gridare ancora “viva San Pasquale!”.
- Io! - rispose furibondo Turi il “conciapelli” il quale doveva essergli cognato, ed era fuori di sé per un pugno acchiappato nella mischia, che lo aveva mezzo accecato. - Viva San Pasquale, sino alla morte!
- Per l'amor di Dio! per l'amor di Dio! - strillava sua sorella Saridda, cacciandosi tra il fratello ed il fidanzato, ché tutti e tre erano andati a spasso d'amore e d'accordo sino a quel momento.
Compare Nino, il fidanzato, vociava per ischerno:
- Viva i miei stivali! viva san stivale!
- Te'! - urlò Turi colla spuma alla bocca, e l'occhio gonfio e livido al pari d'un petronciano. - Te', per San Rocco, tu dei stivali!
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