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Ella aveva infatti delle sollecitudini materne per la sua Maria, delle sollecitudini che sovente indispettivano costei, come se prendessero l'aspetto di una sorveglianza amorevole e discreta. Un giorno Erminia la sorprese mentre stava incominciando una lettera; e le domandò semplicemente se suo marito le avesse scritto; la domanda veniva così male a proposito, che Maria fu quasi per arrossire, come se fosse stata nel punto di dover rispondere una bugia.
- No! mio marito non mi guasta tanto. È troppo occupato.
- Sì, è troppo occupato! - affermò Erminia senza rilevare l'ironia della risposta, - è seriamente occupato. Affoga negli affari, poveretto!
- Che dici mai? se sono la sua passione, l'unica sua passione!
- Lo credi? - domandò Erminia, fissandole in faccia quei suoi occhioni acuti.
- Ma sì! - rispose Maria con un risolino che le contraeva gli angoli della bocca, e aggiunse ancora, come correttivo: - Non ho alcun motivo di esser gelosa però. Mio marito non giuoca, non va al caffè, non è cacciatore, non ama i cavalli, non legge che il listino della Borsa - nulla, ti dico!
- È vero; non ama che te! -
Maria inchinò il capo con un sorrisetto contraffatto; ma non aggiunse verbo per un pezzo, e poi, amaramente:
- Avete ragione, sono anche un'ingrata!
- No, non sei ingrata; sei una donnina viziata, una testolina guasta, che vede falso in molte cose e che non ci vede in certe altre. Il solo torto di tuo marito è di non averti aperto gli occhi sul gran bene che ti vuole.
- Fortunatamente che ha incaricato te di dirmelo.
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