- Voi andatevene dove volete, che io me ne sto qui dove sono -. E il signorino le aveva promesso che la campava lui.
Curatolo Arcangelo di quel pane non ne mangiava, e voleva chiamare don Licciu Papa per condur via a forza la figliuola. - Almeno quando saremo via di qui, nessuno saprà le nostre disgrazie, - diceva. Ma il giudice gli rispose che la Nina aveva già gli anni del giudizio, ed era padrona di fare quel che gli pareva e piaceva.
- Ah! È padrona? - borbottava curatolo Arcangelo. - Anch'io son padrone! - E appena incontrò il signorino, che gli fumava sul naso, gli spaccò la testa come una noce con una legnata.
Dopo che l'ebbero legato ben bene, accorse don Licciu Papa, gridando: - Largo alla Giustizia! largo alla Giustizia! -
Davanti alla Giustizia gli diedero anche un avvocato, per difendersi. - Almeno stavolta la Giustizia non mi costa nulla; - diceva compare Arcangelo. E fu meglio per lui. L'avvocato riuscì a provare come quattro e quattro fanno otto, che curatolo Arcangelo non l'aveva fatto apposta, di cercare d'ammazzare il signorino, con un randello di pero selvatico, ch'era del suo mestiere, e se ne serviva per darlo sulle corna ai montoni quando non volevano intender ragione.
Così fu condannato soltanto a 5 anni, la Nina rimase col signorino, il barone allargò la sua dispensa, e il Reverendo fabbricò una bella casa nuova su quella vecchia di curatolo Arcangelo, con un balcone e due finestre verdi.
IL MISTERO
Questa, ogni volta che tornava a contarla, gli venivano i lucciconi allo zio Giovanni, che non pareva vero, su quella faccia di sbirro.
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