Tutti gli altri nella pianura, sin dove arrivavano gli occhi, provavano un momento di contentezza, anche se nel lettuccio ci avevano qualcuno che se ne andava a poco a poco, o se la febbre li abbatteva sull'uscio, col fazzoletto in testa e il tabarro addosso. Si ricreavano guardando il seminato che veniva su prosperoso e verde come il velluto, o le biade che ondeggiavano al par di un mare, e ascoltavano la cantilena lunga dei mietitori, distesi come una fila di soldati, e in ogni viottolo si udiva la cornamusa, dietro la quale arrivavano dalla Calabria degli sciami di contadini per la messe, polverosi, curvi sotto la bisaccia pesante, gli uomini avanti e le donne in coda, zoppicanti e guardando la strada che si allungava con la faccia arsa e stanca. E sull'orlo di ogni fossato, dietro ogni macchia d'aloe, nell'ora in cui cala la sera come un velo grigio, fischiava lo zufolo del guardiano, in mezzo alle spighe mature che tacevano, immobili al cascare del vento, invase anch'esse dal silenzio della notte. - Ecco! - pensava “Ammazzamogli”. - Tutta quella gente là se fa tanto di non lasciarci la pelle e di tornare a casa, ci torna con dei denari in tasca -.
Ma lui no! lui non aspettava né la raccolta né altro, e non aveva animo di cantare. La sera calava tanto triste, nello stallazzo vuoto e nell'osteria buia. A quell'ora il treno passava da lontano fischiando, e compare Mommu stava accanto al suo casotto colla bandieruola in mano; ma fin lassù, dopo che il treno era svanito nelle tenebre, si udiva Cirino lo scimunito che gli correva dietro urlando, uuh!
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Calabria Ammazzamogli Mommu Cirino
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