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      - Ci sono?
      - Sė, ci son tutti; sia lodato san Gaetano! Ora vado dallo speziale.
      - Li ho minchionati! Io glieli avrei dato anche per venti lire; gli asini di quel colore lė sono vigliacchi -.
      E compare Neli, tirandosi dietro il ciuco per la scesa, diceva:
      - Com'č vero Dio, glie l'ho rubato il puledro! Il colore non fa niente. Vedete che pilastri di gambe, compare? Questo vale quaranta lire ad occhi chiusi.
      - Se non c'ero io - rispose l'amico - non ne facevate nulla. Qui ci ho ancora due lire e mezzo di vostro. E se volete, andremo a berle alla salute dell'asino -.
     
      Adesso al puledro gli toccava di aver la salute per guadagnarsi le trentadue lire e cinquanta che era costato, e la paglia che si mangiava. Intanto badava a saltellare dietro a compare Neli, cercando di addentargli il giubbone per giuoco, quasi sapesse che era il giubbone del padrone nuovo, e non gliene importasse di lasciare per sempre la stalla dov'era stato al caldo, accanto alla madre, a fregarsi il muso sulla sponda della mangiatoia, o a fare a testate e a capriole col montone, e andare a stuzzicare il maiale nel suo cantuccio. E la padrona, che contava di nuovo i denari nel fazzoletto davanti al bancone dello speziale, non pensava nemmen lei che aveva visto nascere il puledro, tutto bianco e nero colla pelle lucida come seta, che non si reggeva ancora sulle gambe, e stava accovacciato al sole nel cortile, e tutta l'erba con cui s'era fatto grande e grosso le era passata per le mani. La sola che si rammentasse del puledro era la ciuca, che allungava il collo ragliando verso l'uscio della stalla; ma quando non ebbe pių le poppe gonfie di latte, si scordō del puledro anch'essa.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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