- Ha il cuore grande come la Piana di Catania, quell'asino di san Giuseppe! e non si direbbe -.
E diceva pure a sua moglie, la quale veniva dietro raggomitolata nella mantellina, a spargere la semente con parsimonia:
- Se gli accadesse una disgrazia, mai sia! siamo rovinati, coll'annata che si prepara -.
La donna guardava l'annata che si preparava, nel campicello sassoso e desolato, dove la terra era bianca e screpolata, da tanto che non ci pioveva, e l'acqua veniva tutta in nebbia, di quella che si mangia la semente; e quando fu l'ora di zappare il seminato pareva la barba del diavolo, tanto era rado e giallo, come se l'avessero bruciato coi fiammiferi. - Malgrado quel maggese che ci avevo preparato! piagnucolava massaro Cirino strappandosi di dosso il giubbone. - Che quell'asino ci ha rimesso la pelle come un mulo! Quello è l'asino della malannata! -
La sua donna aveva un gruppo alla gola dinanzi al seminato arso, e rispondeva coi goccioloni che le venivano giù dagli occhi:
- L'asino non fa nulla. A compare Neli ha portato la buon'annata. Ma noi siamo sfortunati -.
Così l'asino di san Giuseppe cambiò di padrone un'altra volta, come massaro Cirino se ne tornò colla falce in spalla dal seminato, che non ci fu bisogno di mieterlo quell'anno, malgrado ci avessero messo le immagini dei santi infilate alle cannucce, e avessero speso due tarì per farlo benedire dal prete. - Il diavolo ci vuole! - andava bestemmiando massaro Cirino di faccia a quelle spighe tutte ritte come pennacchi, che non ne voleva neppur l'asino; e sputava in aria verso quel cielo turchino senza una goccia d'acqua.
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