- Ogni giorno che campa l'asino di san Giuseppe son quindici tarì guadagnati, - diceva, - e quanto a mangiare mi costa meno d'un mulo -. Alle volte la gente che saliva a piedi lemme lemme dietro il carro, vedendo quella povera bestia che puntava le zampe senza forza, e inarcava la schiena, col fiato spesso e l'occhio scoraggiato, suggeriva: - Metteteci un sasso sotto le ruote, e lasciategli ripigliar lena a quella povera bestia -. Ma compare Luciano rispondeva: - Se lo lascio fare, quindici tarì al giorno non li guadagno. Col suo cuoio devo rifare il mio. Quando non ne potrà più del tutto lo venderò a quello del gesso, che la bestia è buona e fa per lui; e non è mica vero che gli asini di san Giuseppe sieno vigliacchi. Gliel'ho preso per un pezzo di pane a massaro Cirino, ora che è impoverito -.
In tal modo l'asino di san Giuseppe capitò in mano di quello del gesso, il quale ne aveva una ventina di asini, tutti macilenti e moribondi, che gli portavano i suoi saccarelli di gesso, e campavano di quelle boccate di erbacce che potevano strappare lungo il cammino. Quello del gesso non lo voleva perché era tutto coperto di cicatrici peggio delle altre sue bestie, colle gambe solcate dal fuoco, e le spalle logorate dal pettorale, e il garrese roso dal basto dell'aratro, e i ginocchi rotti dalle cadute, e poi quel pelame bianco e nero gli pareva che non dicesse in mezzo alle altre sue bestie morelle: - Questo non fa niente, - rispose compare Luciano. - Anzi servirà a riconoscere i vostri asini da lontano -. E ribassò ancora due tarì sulle sette lire che aveva domandato, per conchiudere il negozio.
| |
Giuseppe Luciano Giuseppe Cirino Giuseppe Luciano
|