- E' devono essere buoni pei malati! - diceva la Lucia che si struggeva di mettersi a contrattare col Tomo. Ma la mamma non voleva che spendessero per lei.
Il Tomo, vedendo che Lucia lo guardava di soppiatto, col mento sul seno, rallentava il passo dinanzi all'uscio, e la domenica si faceva animo ad accostarsi un poco più, sino a mettersi a sedere sullo scalino del ballatoio accanto, colle mani penzoloni fra le cosce; e raccontava nel crocchio come si facesse a pescare le rane, che ci voleva una malizia del diavolo. Egli era malizioso peggio di un asino rosso, Pino il Tomo, e aspettava che le comari se ne andassero per dire alla gnà Lucia: - E' ci vuol la pioggia pei seminati! - oppure: - Le olive saranno scarse quest'anno.
- A voi cosa ve ne importa? che campate sulle rane - gli diceva Lucia.
- Sentite, sorella mia; siamo tutti come le dita della mano; e come gli embrici, che uno dà acqua all'altro. Se non si raccoglie né grano, né olio, non entrano denari in paese, e nessuno mi compra le mie rane. Vi capacita? -
Alla ragazza quel “sorella mia” le scendeva al cuore dolce come il miele, e ci ripensava tutta la sera, mentre filava zitta accanto al lume; e ci mulinava, ci mulinava sopra, come il fuso che frullava.
La mamma, sembrava che glielo leggesse nel fuso, e come da un par di settimane non si udivano più ariette alla sera, né si vedeva passare quello che vendeva le rane, diceva colla nuora: - Com'è tristo l'inverno! Ora non si sente più un'anima pel vicinato -.
Adesso bisognava tener l'uscio chiuso, pel freddo, e dallo sportello non si vedeva altro che la finestra di rimpetto, nera dalla pioggia, o qualche vicino che tornava a casa, sotto il cappotto fradicio.
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