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      Ma Pino il Tomo non si faceva più vivo, che se un povero malato aveva bisogno di un po' di brodo di rane, diceva la Lucia, non sapeva come fare.
      - Sarà andato a buscarsi il pane in qualche altro modo - rispondeva la cognata. - Quello è un mestiere povero, di chi non sa far altro -.
      Santo, che un sabato sera aveva inteso la chiacchiera, per amor della sorella, le faceva il predicozzo:
      - A me non mi piace questa storia del Tomo. Bel partito che sarebbe per mia sorella! Uno che campa delle rane, e sta colle gambe in molle tutto il giorno! Tu devi cercarti un campagnuolo, ché se non ha roba, almeno è fatto della stessa pasta tua -.
      Lucia stava zitta, a capo basso e colle ciglia aggrottate, e alle volte si mordeva le labbra per non spiattellare: - Dove lo trovo il campagnuolo? - Come se stesse a lei a trovare! Quello solo che aveva trovato, ora non si faceva più vivo, forse perché la Rossa gli aveva fatto qualche partaccia, invidiosa e pettegola com'era. Già Santo parlava sempre per dettato di sua moglie, la quale andava dicendo che quello delle rane era un fannullone, e certo era arrivata all'orecchio di compare Pino.
      Perciò ad ogni momento scoppiava la guerra tra le due cognate:
      - Qui la padrona, non son io! - brontolava Lucia. - In questa casa padrona è quella che ha saputo abbindolare mio fratello, e chiapparlo per marito.
      - Se sapevo quel che veniva dopo, non l'abbindolavo, no, vostro fratello; ché se prima avevo bisogno di un pane, adesso ce ne vogliono cinque.
      - A voi che ve ne importa se quello delle rane ha un mestiere o no?


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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