Lo pigliava pei capelli, come un cagnuolo, e sentiva un certo piacere a ficcare le dita in quella lana morbida e ricciuta.
- Sfogatevi! sfogatevi! Io non sono permaloso come voi, e mi lascierei pestare come la salsiccia dalle vostre mani -.
Una volta don Venerando li sorprese in quei giuochetti e fece una casa del diavolo. Tresche non ne voleva in casa sua; se no li scacciava fuori a pedate tutt'e due. Piuttosto quando trovava la ragazza sola in cucina, le pigliava il ganascino, e voleva accarezzarla con due dita.
- No! no! - replicava Lucia. - A me questi scherzi non mi piacciono. Se no piglio la mia roba e me ne vado.
- Di lui ti piacciono, di lui! E di me che sono il padrone, no? Cosa vuol dire questa storia? Non sai che posso regalarti degli anelli e dei pendenti di oro, e farti la dote, se ne ho voglia? -
Davvero poteva fargliela, confermava Brasi, che il padrone aveva danari quanti ne voleva, e sua moglie portava il manto di seta come una signora, adesso che era magra e vecchia peggio di una mummia; per questo suo marito scendeva in cucina a dir le barzellette colle ragazze. Poi ci veniva per guardarsi i suoi interessi, quanta legna ardeva e quanta carne mettevano al fuoco.
Era ricco, sė, ma sapeva quel che ci vuole a far la roba, e litigava tutto il giorno con sua moglie, la quale aveva dei fumi in testa, ora che faceva la signora, e si lagnava del fumo dei sarmenti e del cattivo odore delle cipolle.
- La dote voglio farmela io colle mie mani - rimbeccava Lucia. - La figlia di mia madre vuol restare una ragazza onorata, se un cristiano la cerca in moglie.
| |
Venerando Lucia Brasi Lucia
|