Glielo diceva il cuore, al poveraccio. Il sor Gostino era tutto il giorno su e giù per la scala colla granata in mano. Davvero, pel cuore era un ragazzo! Si divertiva a far quattro chiacchiere con lei, o ad accendere il fuoco, nel fornello, e farle andar la macchina - gira, gira, gira; - nello stesso tempo dalla finestra, dietro la tendina, teneva d'occhio la porta, e quando cominciava a farsi scuro, che gli vedeva quella testa china sulla macchina, si sentiva dentro lo stesso rimenìo. Gli bastava che dicesse: - Grazie, sor Gostino.
- Non lo faccio per questo, sora Carlotta. Sono un galantuomo e non fo le cose per secondo fine -. Chi era andato a cercarle del cucito? Chi gli faceva prestar la macchina al bisogno? Chi andava a parlare col padron di casa se tardava la mesata?
La sora Bettina infuriava per queste condiscendenze. Un altro po' la casa diventava un luogo pubblico! E se la pigliava anche col padrone che faceva il comodino per sbarazzarsi del marito. Tutto a riguardo suo!
Il sor Gostino non si dava pace. - O dunque cosa gliene importa a lei? - La Carlotta invece si lagnava: - Signore Iddio! Com'è cattivo il mondo, a pensare il male che non facciamo né voi né io! -
Il sor Gostino allora non sapeva che dire, e ruminava cosa dovesse fare onde non sembrare un minchione, o prendeva il partito di posarsi la mano aperta sul costato: - Sono un galantuomo, ve l'ho detto. Vi voglio bene, ma sono un galantuomo! -
Però non voleva che il Bobbia tornasse a fare il moscone da quelle parti.
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