La stagione era ancora rigida. Lassù nella sua cameruccia sotto i tetti l'acqua gelava nel catino. Se entrava in un caffè per riscaldarsi, il cameriere, in cravatta bianca, le sussurrava qualche parola all'orecchio, ed ella tornava al alzarsi a capo chino. Di fuori, alla luce appannata delle grandi invetriate, passavano delle ombre impellicciate come lei sotto un cappellone piumato. Dietro, i questurini, passo passo. Gli uomini camminavano frettolosi, col bavero rialzato e il sigaro in bocca. Ella sorrideva, colle labbra riarse.
Piazza del Duomo tutta bianca di neve, Santa Margherita colle vetrine scintillanti del Bocconi; lì delle lunghe stazioni all'alito dei sotterranei riscaldati che veniva dalle finestre a livello del marciapiede. La gente passava sogghignando. Indi piazza della Scala, come un camposanto, il teatro sfavillante di lumi, i caffè nella nebbia calda del gas, e di nuovo la Galleria, alta, sonora, coll'arco immenso spalancato sull'altra piazza bianca di neve; e dietro sempre il passo sonoro dei questurini che la scacciavano avanti, sempre avanti. Un vecchietto curvo la sbirciò arricciandosi i baffi tinti. La poveretta sorrideva sempre inutilmente, colle labbra pallide. Infine s'avvicinò a una di quelle ombre che al par di lei passeggiavano eternamente sotto il cappellone piumato, e le disse qualche parola sottovoce. L'altra si strinse nelle spalle. Un signore passava senza darle retta. Poscia tornò indietro e le mise qualcosa nella mano. Allora, chiusa nel suo mantello di seta, colle piume del cappellone sul viso infarinato, andò a comprare del pane.
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