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      Allorché gli fu addosso vide che si era cavate le scarpe, e teneva il mento fra le palme. Il garzone, col randello dietro la schiena, gli domandò cosa stesse a far lì, nella roba altrui; e gli guardava le mani sospettoso. L'altro balbettava senza saper rispondere, e si rimetteva le scarpe mogio mogio. Poi si allontanò di nuovo, col dorso curvo, come un malfattore.
      Andava lungo l'argine del canale, sotto i gelsi che mettevano le prime foglie. I prati, a diritta e a sinistra, erano tutti verdi. L'acqua, nell'ombra, scorreva nera, e di tanto in tanto luccicava al sole, un bel sole di primavera, che faceva cinguettare gli uccelli.
      Il garzone aggiunse ch'era rimasto più di un'ora in agguato per vedere se tornasse quel vagabondo; e non avrebbe mai creduto che facesse tante storie per andare a finire sotto una locomotiva. L'aveva riconosciuto da quelle scarpe che non si reggevano neppure collo spago, e gli erano saltate fuori dai piedi, di qua e di là dalle rotaie.
      - Gli è che al momento in cui le ruote vi son passate di sopra quei piedi hanno dovuto sgambettare! - osservò il cameriere dell'osteria, corso sin là all'odore del morto come un corvo, in giubba nera e col tovagliuolo al braccio. Egli aveva visto passare quello sconosciuto dall'osteria verso mezzogiorno: una di quelle facce affamate che vi rubano cogli occhi la minestra che bolle in pentola, quando passano. Perfino i cani l'avevano odorato, e gli abbaiavano dietro quelle scarpacce che si slabbravano nella polvere.
      Come il sole tramontava l'ombra del cadavere si allungava, dai piedi senza scarpe, a guisa di spaventapassere, e gli uccelli volavano via silenziosi.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993