Ella lo respinse dolcemente.
- Anna!
- No! - esclamò la madre con vivacità.
E quelle lagrime silenziose pareva che le solcassero le guance delicate come degli anni, degli anni di dolore e di castigo che sopravvenivano tutto a un tratto nella sua esistenza spensierata. Il silenzio sembrava insormontabile. Infine Roberto mormorò:
- Cosa volete che faccia?... dite... -
Ella lo guardò smarrita, con un'angoscia indicibile. E balbettò:
- Non so!... non so!... Lasciatemi tornar da lei... Lasciatemi sola stasera... -
Come rientrava nella camera dell'inferma, dall'ombra del cortinaggio gli occhi della figlia luccicavano ardenti, fissi su di lei, con un lampo inconsciente che l'agghiacciò sulla soglia.
- Mamma - chiese Bice - chi c'è ancora?
- Nessuno, figlia mia.
- Ah!... Statti con me allora. Non mi lasciare -.
E le teneva le mani, tremante.
- Povera bimba mia! Povero amore! Guarirai presto, sai! L'ha detto il medico.
- Sì mamma.
- E... e... sarai felice -.
La figlia le fissava sempre in viso quello sguardo.
- Sì, mamma -.
Poi chiuse gli occhi, che sembravano neri, nelle orbite incavate. Successe un mortale silenzio. La madre scrutava quel viso pallido e impenetrabile con uno sguardo ardente, arrossendo e impallidendo a vicenda.
Ad un tratto si fece smorta come lei, e la chiamò con un'altra voce.
- Bice! -
Il petto della madre si contraeva spasmodicamente, come se qualche cosa vi agonizzasse dentro. Poi si chinò sulla figliuola, posando la guancia febbrile su quell'altra guancia scarna, e le mormorò nell'orecchio, con un soffio appena intellegibile:
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Roberto Bice
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