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      Una scappata a Roma pei balli del carnevale, e un bel maschiotto alla fine della cura -.
      La contessa, alla figlia che avrebbe voluto condurla seco rispondeva:
      - No. Io e il dottore non ci abbiamo più nulla a fare in questo viaggio. Tutta la mia pretesa è che siate felici! -
      E sorrideva agli sposi, del suo sorriso un po' stanco. La figlia alle volte aveva inconsciamente degli sguardi acuti che correvano come un lampo dal fidanzato alla madre. A quelle parole, senza saper perché l'abbracciò stretta, nascondendole il viso in seno.
      La contessa diceva che quella era l'ultima sua festa; e le sue spalle bianche e delicate si mostrarono un'ultima volta alla cerimonia dello sposalizio, nelle sale scintillanti di lumi, e affollate di amici e parenti come nei giorni più tristi in cui venivano a chieder notizie della Bice. Roberto le baciò la mano senza poter dissimulare un certo turbamento. Poi, quando l'ultima carrozza fu partita e non rimase a piè dello scalone che il piccolo coupé del marchese, e la carretta inglese che portava il bagaglio degli sposi, mentre Bice era andata a cambiarsi d'abito, rimasero soli un momento, Roberto e lei.
      - Fatela felice, Roberto -.
      Danei era nervoso, abbottonava macchinalmente il suo ulster da viaggio, si cavava e tornava a infilarsi i guanti. Non disse una parola.
      Madre e figlia si abbracciarono strette, strette, lungamente. Poi la contessa respinse quasi bruscamente la figliuola, dicendo:
      - È tardi. Perdete il treno. Andate! andate! -
     
      La contessa Orlandi aveva tossito un poco quell'inverno, e di tanto in tanto aveva avuto bisogno del medico.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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