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      Alcuni istanti dopo, dietro alle cortine del letto, si portò il fazzoletto alle labbra, e lo nascose in fretta macchiato di sangue.
      Poscia Bice tornava in sé, e pareva chiedere perdono a tutti con le sue parole e le carezze affettuose. Appena cominciò a lasciare il letto, sua madre fissò il giorno della partenza. Bice le rivolse uno sguardo scrutatore e impallidì chinando tosto gli occhi. Quando fu l'ultimo momento, alla stazione, erano commosse tutte e due, abbracciandosi senza dire una parola, come si lasciassero per sempre.
      La contessa arrivò tardi, la sera, affranta, intirizzita dal freddo. La casa vasta e deserta era fredda anch'essa, col gran fuoco acceso, con le lumiere solitarie, per tutta l'infilata delle sale.
     
      Anna s'era ammalata. Prima accusò la stanchezza del viaggio, poi le commozioni, o un colpo d'aria. Stette circa tre mesi fra letto e lettuccio, il medico tornò a venire tutti i giorni.
      - Non è nulla - ripeteva lei - oggi mi sento meglio. Domani mi alzerò -.
      Alla figlia scriveva regolarmente, e non aveva voluto che il dottore la informasse della malattia.
      Verso il principio dell'autunno parve migliorare davvero. Ad un tratto ricadde, e in due giorni peggiorò in guisa che il dottore si credette in debito di telegrafare al genero. Roberto arrivò il giorno dopo, agitatissimo.
      - Bice è in stato interessante - disse al dottore, che vide per il primo - e ho temuto che questa notizia...
      - Ha fatto bene. Anche la salute della marchesa ha bisogno di molti riguardi.... È una malattia gentilizia.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Bice