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      Ogni sera miss Florence lasciava il romanzo che stava leggendo, e scendeva con la bimba nella camera di donna Vittoria, la quale le accoglieva con un sorriso pallido. La figliuola, una ragazzina bianca e delicata, con lunghe trecce color d'oro pendenti giù per le spalle, e le attaccature fini di già, quasi fosse una donnina, andava a baciare la mamma in punta di piedi, col passo discreto di ragazzina bene educata. Poi le augurava la buona notte in inglese o in tedesco, secondo la giornata, e se ne andava dietro all'istitutrice, diritta ed impettita. Infine, la vigilia, donna Vittoria aveva trattenuto la ragazzina per mano, e le aveva parlato, nella sua lingua nativa, due o tre parole che accusavano la febbre, col sorriso triste nel viso color di cera. La bimba ascoltava seria e zitta, coi grand'occhi azzurri spalancati. Più tardi il medico era venuto due volte e aveva chiesto un consulto. Nel salotto, il vai e vieni degli intimi era stato più affaccendato ed ansioso. Nella sala accanto, dietro la tenda dell'uscio, si udivano i medici a consulto, la conversazione era di tratto in tratto interrotta da qualche parola misteriosa seguìta da brevi silenzi. Nel cortile, il frastuono degli staffieri e delle carrozze contrastava col silenzio solenne degli altri giorni, come qualcosa fosse mutato in quella casa. Sino a notte avanzata lo stesso coupé che aveva ricondotto la signora dal ballo aspettò attaccato nel cortile, co' suoi due fanali accesi che si riverberavano sull'acqua della fontana.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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