Indi tornava ad oscurarsi, come si riaffacciasse a lei il sentimento del suo stato. Ad ogni momento voleva sapere che ora fosse.
- E il signor Ginoli non si fa vedere? - chiese infine.
Il marito non rispose; si guardarono un istante. Ella non distolse gli occhi, col viso immobile e pallido. E con quegli occhi in un istante si dissero tutto. Il marito, quando passò nelle altre stanze e la lasciò sola un momento, aveva le spalle curve come gli pesassero addosso cent'anni.
Allora l'inferma, fra una visita e l'altra, chiamò la cameriera, e le disse due o tre parole che la ragazza sola poté udire, tanto le era mancata la voce. La cameriera ascoltava, impassibile, ai piedi del letto, stecchita nel suo grembiulino di seta nera che le serrava il petto magro. Poi, al momento di andare, si chinò all'improvviso, e baciò la mano della padrona scoppiando in lacrime.
- Va! - disse donna Vittoria, accarezzandole i capelli. - Va. Non piangere -.
Si udì il rumore di un legno che usciva dal portone. Poscia, ad intervalli, una specie di silenzio d'attesa. In quel silenzio le poche parole che si scambiavano due o tre persone lì presenti, facevano quasi trasalire. L'inferma allora fissava l'uscio con gli occhi lucenti, gli occhi che soli sembravano vivi in quell'ombra. Ad un tratto si udì il legno che tornava, poi un passo leggero sul tappeto, ed entrò un giovanotto sulla trentina, biondissimo, bianco tanto che sembrava pallido, con un soprabito scuro abbottonato fin sotto il mento, e la lente pendente sul petto a un filo che non si vedeva, come un bottone d'acciaio piantato lì. Nell'anticamera egli aveva domandato al domestico:
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Ginoli Vittoria
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