- Come sta?...
- Male, male assai - rispose questi.
Il giovanotto entrò col passo incerto e l'occhio smarrito. Nelle altre stanze non incontrò nessuno.
- Oh, Ginoli! - disse l'inferma, con un sorriso.
Egli non rispose, aspirando fortemente, quasi gli fosse mancato il fiato nel salire la scala in fretta. Infine balbettò:
- Va meglio, non è vero? giacché mi hanno lasciato passare... - Ella accennò di sì col capo, due o tre volte, poscia balbettò:
- Stasera mi sento un po' male... ma ho visto tanta gente... e sono stanca. Però fa piacere rivedere gli amici... -
La contessa Bruni, che era rimasta sino a quel momento, si alzò per accomiatarsi.
- Addio, - disse donna Vittoria, come essa si fermava a stringerle la mano a lungo.
Rimasero una signora attempata, amica di casa, che si era offerta di vegliare la notte, e due altri, marito e moglie, zii per parte di madre di donna Vittoria. La zia parlava di cure portentose, di guarigioni insperate. Gli altri tacevano, senza ascoltare.
- Verrete domani? - disse lei, voltando il capo verso Ginoli.
Egli balbettò di sì.
Ella stette a guardarlo, quasi colpita da quelle parole istesse. E ad un tratto due lagrime le scesero lentamente sulle guance.
- Quando sarà giorno? - riprese. E voltò la testa dall'altra parte, senza aspettare la risposta.
Di tanto in tanto la cameriera attraversava la camera, senza far rumore, o si udiva il passo leggero di un servitore nella sala accanto. Allora levavano il capo tutti insieme, senza sapere perché.
Soltanto l'inferma mormorava a lunghi intervalli:
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Ginoli Bruni Vittoria Vittoria Ginoli
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