- Mostrava le ossa, - brontolavano quelli della chiatta. Talché anche i poveri diavoli ci si arrischiavano a guado, qualche miglio più in su. Tanti baiocchi levati di bocca a quegli altri poveri diavoli che stavano colla fune in mano tutto il giorno, sotto il solleone. E litigavano fra di loro, a digiuno. Nanni allora per un nulla si buscava delle pedate anche da suo padre, sciancato com'era.
Di tanto in tanto passava una frotta di mietitori, che tornavano al mare, bianchi di polvere, e si calavano nel greto, uomini e donne, colle gambe nude, raccomandandosi ai loro santi, nel dialetto forestiero. Poi nell'afa della strada, diritta diritta, si vedeva venire da lontano il polverone che accompagnava qualche carro, o spuntava dall'altra parte la sonagliera mezza addormentata di un mulattiere. L'Orbo, che non aveva nessuno al mondo, e se l'era girato tutto, diceva: - Quello lì viene da Catania, quest'altro da Siracusa -. E sempre cuor contento, lui, raccontava agli uomini stesi bocconi le meraviglie che aveva visto laggiù, lontano lontano. E Nanni ascoltava intento, come aveva fatto la Grazia ai racconti che lui sballava, con delle allucinazioni di vagabondaggio negli occhi stanchi di vedere eternamente l'osteria dello zio Antonio, che fumava tutta sola, nella tristezza del tramonto.
Ma chi gli mise davvero la pulce nell'orecchio fu il Zanno, una volta che lo chiamarono per lo zio Carmine al Biviere. Fin da Pasqua di Rose, i viandanti che venivano a passar la notte allo stallatico, e non lo vedevano, come al solito, a portar la paglia dal fienile o a riscuotere lo stallaggio, dicevano: - E compare Carmine?
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