- Zio Mommu lo mostrava con un cenno del capo, lungo disteso nel pagliericcio, sotto un mucchio di bisacce; e Misciu, col cappuccio in capo, mangiato dalle febbri anche lui soggiungeva: - Ha la terzana -. Alle volte, quando alla voce riconosceva un conoscente, lo zio Carmine rispondeva con un grugnito: - Son qua. Sono ancora qua -.
Erano quasi sempre le stesse facce stanche che si vedevano passare, dinanzi al lumicino moribondo appeso al travicello, e tiravano fuori dalla bisaccia la scarsa merenda, accoccolati su di un basto, masticando adagio adagio. Lo zio Carmine non brontolava più, non si moveva più dalla sua cuccia, zitto e cheto. Soltanto quando udiva fermarsi alla porta una vettura, rizzava il capo come poteva, per amor del guadagno, e chiamava:
- O Misciu! -
Però non potevano lasciarlo morire a quel modo, come un cane. Ventura, Mangialerba, e spesso anche compare Cosimo, tirandosi dietro la gamba storpia, venivano apposta da Primosole, e stavano a guardare compare Carmine lungo disteso, con la faccia color di terra, come un morto addirittura. Infine risolvettero di chiamargli la Gagliana, quella vecchietta che faceva miracoli, a venti miglia in giro.
- Vedrete che la Gagliana vi guarirà in un batter d'occhio, - andavano dicendo a lui pure. - È meglio di un dottore quel diavolo di donna. Cosa ne dite, compare Carmine? -
Compare Carmine non diceva né sì né no, pensando al denaro che si sarebbe mangiato la Gagliana. Però nel forte della febbre tornava a piagnucolare:
- Chiamatemi pure la Gagliana, senza badare a spesa.
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