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      Lanzise era uno che ci aveva il fatto suo, terra, buoi, e un pezzo di vigna lì vicino alla Savona, dicevano.
     
      Il matrimonio fece chiasso. Talché venne anche don Tinu a vender roba pel corredo. La sera mangiava all'osteria come al solito. Non si sa come, a motivo di un conto sbagliato, attaccarono lite collo zio Antonio, e don Tinu gli disse: - becco! -
      Compare Antonio era un omettino cieco d'un occhio, che al vederlo non l'avreste pagato un soldo. Però si diceva che avesse più di un omicidio sulla sua coscienza, e a venti miglia in giro gli portavano rispetto. Al sentirsi dire quella mala parola sul mostaccio da don Tinu, il quale aveva una faccia di minchione, andò a staccare lo schioppo dal capezzale, per spifferar le sue ragioni anche lui, mentre la moglie, che la malaria inchiodava in fondo a un letto da anni ed anni, rizzatasi a sedere in camicia, strillava:
      - Aiuto che s'ammazzano, santi cristiani! -
      E Filomena, per dividerli, buttava piatti e bicchieri addosso a don Tinu, gridando:
      - Birbante! ladro! scomunicato!
      - Che vi pare azione d'uomo cotesta, compare Antonio? - rispose don Tinu più giallo del solito. - Io non ho altro addosso che questo po' di temperino.
      - Avete ragione, - disse lo zio Antonio. - Vi risponderò colla stessa lingua che avete in bocca voi -. E andò a posare lo schioppo senza aggiunger altro.
      Più tardi Nanni andava all'osteria per il vino, quando vide venirsi incontro don Tinu tutto stralunato, che si guardava attorno sospettoso.
      - Te' due soldi, - gli fece, - e và a dire a compare Antonio che l'aspetto qui, per quella faccenda che sa lui.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
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