- Ecco vostro figlio Nanni, compar Cosimo, che è venuto apposta per baciarvi le mani -.
Lo zio Cosimo aveva la terzana, e stava lì, al sole, appoggiato alla fune, col fazzoletto in testa, aspettando la febbre. - Che il Signore t'accompagni, figliuol mio, e ti aiuti sempre -.
Adesso ch'era stremo di forza, gli venivano i lucciconi agli occhi, vedendo che bel pezzo di ragazzo s'era fatto il suo Nanni. Costui narrava pure di Benedetta e del fratello, ch'era stato a cercarli; e il padre, tutto contento, scrollava, tentennava il capo, colla faccia sciocca. Una miseria, in quella chiatta: Ventura partito per cercar fortuna altrove; Mangialerba più che mai sotto i piedi della sua donnaccia, becco e bastonato, e l'Orbo sempre lo stesso, attaccato alla fune come un'ostrica e allegro come un uccello, che cantava nel silenzio della malaria, guardando il cielo cogli occhi bianchi.
- Con me vostro figlio girerà il mondo, e si farà uomo. - ripeteva don Tinu. Anche lo zio Antonio, poveretto, non era più quello di prima, e stava lì, sull'uscio dell'osteria, inchiodato dalla paralisi sulla scranna, a salutar la gente che passava, colla faccia da minchione, per tirare gli avventori.
- Benedicite, vossignoria. Che non mi riconoscete più, zio Antonio? - gli disse il merciaiuolo fermandosi a salutarlo. Lo zio Antonio accennava di sì col capo, come pulcinella. Allora don Tinu trasse fuori un bel sigaro e glielo mise nelle mani che tremavano continuamente, posate sulle ginocchia.
Ma l'altro scosse il capo, accennando di no, che non poteva.
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