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      ... Toccava a me a dirtelo... Sono tuo fratello, il tuo Peppino!... -
      Ella uscì nello stanzone, barcollante, come si sentisse soffocare, e balbettò dopo un momento:
      - Come lo sai? Chi te l'ha detto?
      - Masino, quel ragazzo, il figlio del caffettiere. Oggi, come l'incontrammo per caso, e vide che lo salutavo, mi ha detto che sposa sua sorella.
      - Vai, vai, - disse la poveretta respingendolo colle mani tremanti. - I ragazzi aspettano -.
     
      E fu tutto. Ella non aggiunse una parola, non gli mosse un lamento. L'ultima volta che la vide, Angelo la trovò così afflitta, così chiusa nel suo dolore, che ne indovinò il motivo. Sull'uscio del cortiletto, cogli occhi rivolti a quello spicchio di cielo e una lagrima vera negli occhi, egli le disse addio, commosso dall'accento suo stesso. Il giorno dopo le scrisse una lettera tutta fremente da un rigo all'altro d'amore e di disperazione, la prima in cui le parlasse d'amore, per dirle che il suo era fatale e doveva immolarlo sull'altare dell'obbedienza filiale. “Siate felice! siate felice! lontana o vicina, in vita e in morte!...” Fu la sola “missiva” d'amore che ella ricevesse, e la custodì gelosamente fra i fiori secchi ch'ei le aveva donati, e i nastri scolorati che portava il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta.
      Poi, stanca, aveva riversato sul fratello le sue illusioni giovanili, rifacendo per lui i castelli in aria in cui s'erano passati i sogni ardenti della sua vita claustrale, subendo, sotto altra forma, le stesse calde allucinazioni che le erano rimaste di tante bizzarre letture, nelle quali si era consunta la sua giovinezza, dietro il tramezzo della scuola, com'era morto il geranio che aveva agonizzato dieci anni nel cortiletto senza sole.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Peppino Angelo Siate