Ad un tratto la sorella svegliandosi lo chiamò, indovinando ch'era lì, e per la prima volta egli accendendo il lume si trovò imbarazzato dinanzi a lei insieme a un'altra donna.
Era stata una crisi terribile: la prima lotta colla morte che già abbrancava la preda. L'inferma, tornata in sé, guardava il lume, le pareti, il viso del fratello con certi occhi attoniti in cui durava ancora la visione di terrori arcani, e lo accarezzava col sorriso, col soffio della voce, colla mano tremante, in un ritorno di tenerezza ineffabile, che si attaccava a lui come alla vita.
E allorché furono soli, gli disse pure con quell'accento e quello sguardo singolari:
- No quella!... Quella no, Peppino! -
Verso l'agosto sembrò che cominciasse a stare alquanto meglio. Il sole giungeva fino al letto, dall'uscio del cortile, e la sera entravano a far compagnia tutti i rumori del vicinato, il chiacchierìo delle comari, lo stridere delle carrucole, nei pozzi tutto intorno, la canzone nuova che passava, l'accordo della chitarra con cui il barbiere dirimpetto ingannava l'attesa. La ragazza del falegname entrava con un fiore nei capelli, con un sorriso allegro che portava la gioventù e la salute.
- No, no, non ve ne andate ancora! Vedete il bene che fa a quella poveretta soltanto a vedervi!
- Si fa tardi, signor maestro. È un'ora che son qui.
- No, non è tardi. A casa vostra lo sanno che siete qui. Piuttosto dite che vi aspettano le compagne, lì sull'uscio.
- No, no.
- O l'innamorato, eh? Sarà l'ora in cui suole passare col sigaro in bocca.
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Peppino
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