- Orsù, signor maestro, facciamo a parlarci chiaro, ché il vicinato comincia a mormorare dei fatti nostri -.
Il poveraccio, colto alla sprovvista, si confuse. Ma infine prese il suo coraggio a due mani:
- Or bene, donna Mena! Anche quella poveretta l'aveva previsto. Non ho voluto decidermi mai a fare questo passo, perché amavo troppo la mia libertà... Ma ora che vi ho conosciuta meglio... se volete...
- Eh, non li avevate fatti male i vostri conti, caro mio, poiché siete stanco d'andare attorno coi ragazzi! Ma il fatto mio ce lo siamo lavorato io e la buon'anima di mio marito... E non per farcelo mangiare a tradimento -.
Ogni giorno, mattina e sera, tornava a passare il maestro dei ragazzi, con un fanciulletto restìo per mano, gli altri sbandati dietro, il cappelluccio stinto sull'orecchio, le scarpe sempre lucide, i baffetti color caffè, la faccia rimminchionita di uno ch'è invecchiato insegnando il b-a-ba, e cercando sempre l'innamorata, col naso in aria.
Soltanto, tornando a casa serrava a chiave l'uscio, per scopare la scuola, rifare il letto, e tutte le altre piccole faccenduole per le quali non aveva più nessuno che l'aiutasse. La mattina, prima di giorno, accendeva il fuoco, si lustrava le scarpe, spazzolava il vestito, sempre quello, e andava a bere il caffè nel cortiletto, seduto sulla sponda del pozzo, tutto solo e malinconico, col bavero del pastrano sino alle orecchie. Ed ora che la povera morta non ne aveva più bisogno, risparmiava anche quei due soldi di latte.
UN PROCESSO
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Mena
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