Dopo montò sul tavolone un pezzo d'uomo, vestito tutto di rosso come un gambero cotto, con due enormi sopracciglia alla chinese, per darsi un'aria satanica, e dei cornetti inargentati. Egli si mise ad urlare “la canzone dell'oro” come un ossesso, allargando le gambe sul tavolato, stendendo gli artigli minacciosi verso l'uditorio, con certi occhi terribili e certe boccacce sardoniche che volevano incutere terrore. Al “dio dell'oro” mescolavasi l'acciottolìo dei piattini, lo sbattere dell'usciale e la voce dei tavoleggianti, i quali gridavano: - Panna e cioccolata! - oppure: - Tazza Vienna! - Mefistofele salutò lo scarso pubblico, che non gli badava, e scese adagio adagio la scaletta col mantelletto ad ali di pipistrello che gli sventolava dietro.
- Stasera avremo il gran debutto, - osservò un avventore che centellava da tre quarti d'ora una chicchera di levante.
- Il successo del giorno! - grugnì il vicino, ch'era sempre lì a quell'ora, colla coppa di Vienna vuota dinanzi, un mucchio di giornali sotto la mano, e la moglie addormentata accanto.
Infatti, dopo il pezzo con variazioni per pianoforte sulla Stella confidente venne il duetto dell'Ernani, e comparve un'altra volta dalla cucina il baritono vestito alla spagnuola, con un medaglione d'ottone che gli ballava sul ventre, e un cappello piumato in testa, facendo largo a madamigella Edvige, tutta di bianco come un fantasma, sotto la polvere d'amido e la veste di raso del rigattiere.
- Che braccia magre! - osservò un dilettante, fiutandole quasi sotto i guanti lunghi e duri di benzina.
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