Tanto non poteva più andarsene. Poscia vendette le polizze dei pegni. Alla posta, l'ultima speranza degli sventurati in paese straniero, le rispondevano invariabilmente, due volte al giorno:
- Nulla! -
Una sera che ne usciva barcollante, incontrò il baritono, Arturo Gennaroni, sempre impellicciato, che le fece un gran saluto cerimonioso, levando in alto il cappello come se volesse dire evviva! Giusto voleva presentarle l'amico che era con lui - Temistocle Marangoni, il primo basso del mondo! - un uomo di mezza età, tutto capelli e barba, con un cappellone a cono, drappeggiato in un mantello grigio, e che sembrava che parlasse di sottoterra. - E dove corre, signora Edvige? Voleva sfuggirmi? Non è mica in collera con me, spero! -
Ella si scusava di non aver udito perché credeva che non dicesse a lei: - Io mi chiamo Assunta. Ma sul cartellone la padrona del Caffè pretendeva che quel nome non facesse...
- È vero, è vero. Anche il mio è un nome di guerra, per riguardi di famiglia, sa bene. Mio padre è il primo negoziante di Napoli. Laggiù hanno ancora dei pregiudizi... Sa bene... Veniamo con lei, se non le dispiace -.
Strada facendo aggiunse che era libero quella sera, perché la padrona del Caffè Nazionale l'aveva licenziato - una cabala che gli avevano inventato contro per gelosia di donne. Temistocle, lì, poteva dirlo. - Il basso agitava il barbone per attestarlo. Anche a lui avevano rubato la scrittura, quell'animale di Gigi Lotti, una scrittura di seimila franchi, viaggio intero pagato, col pretesto che la conferma al telegramma non era venuta.
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