Le domeniche andavano a spasso insieme; qualche volta egli portava un bel cocomero, e si faceva festa, nel terrazzino. Soleva dire scherzando: - Ce ne ricorderemo poi, quando saremo ricchi, sora Assunta! - Era così buono! aveva negli occhi un non so che, come vedesse lontano tante cose, e diceva che l'arte gli spingeva delle nuvole d'oro sconfinate nel pezzettino di cielo che si vedeva al di sopra del vicoletto, allungando il collo. La sera si metteva a sonare al buio, pratico com'era della tastiera, ed essa stava ad ascoltare più che poteva, dietro l'uscio, quella bella musica che le penetrava al cuore come una dolcezza.
Egli che se n'era accorto infine, le diceva di tanto in tanto: - Le piace? dice davvero? - Voleva pure che Assunta gli cantasse la sua musica. Un giorno che la sua voce gli era piaciuta tanto, tanto che a lei stessa le sembrava fosse un'altra che cantasse, egli si alzò all'improvviso dal pianoforte, e la strinse fra le braccia, tutta tremante anche lei, senza sapere quel che si facessero.
La mamma, povera e santa donna, non ne seppe nulla. Allorché fu impossibile nascondere quello che era avvenuto, il giovane scappò al suo paese, per paura del babbo municipale. Ella ne fece una malattia mortale, durante la quale la mamma sola veniva a trovarla di nascosto. Un giorno le disse piangendo che lui se n'era andato via lontano, in Grecia, in Turchia, molto lontano insomma! Era svanita l'ultima speranza. All'ospedale, appena fu guarita, non vollero lasciarla. Il babbo aveva giurato che non l'avrebbe più ricevuta in casa sua.
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