Una sera capitò anche il maestro, il quale aveva fatto san Michele lui pure, ora che al Caffè Nazionale c'era un giocatore di bussolotti. Gennaroni si fregava le mani sbraitando: - Vedrete che chiuderanno fra due mesi! Ve lo dico io! - Assunta si sentì come un tuffo nel sangue appena vide entrare il maestro, e avrebbe desiderato che egli non si accorgesse di lei, nel suo cantuccio presso la stufa. Il poveraccio era così disfatto e scombussolato che non sapeva nemmeno come rispondere a tutti coloro che gli facevano ressa intorno. Poi, come la scorse, cogli occhi addosso a lui, andò a salutarla, domandandole come stava, se aveva trovato qualche cosa, nel tempo che non s'erano più visti. Pur troppo, anche lui non aveva trovato nulla!... se no glielo avrebbe fatto subito sapere!... Dopo che il maestro ebbe voltate le spalle, incominciarono le osservazione sul conto di lui. - Quello lì se ne rideva! - Era ben appoggiato! - Appoggiato a un vero pilastro! - Baracconi disse una parolaccia.
Verso la fine di dicembre gli avventori del Caffè del teatro sembravano ammattiti, formando dei crocchi animati, disputandosi fra di loro, cavando ogni momento dal portafogli lettere e telegrammi sudici, correndo sull'uscio, ogni volta che s'apriva, per vedere se giungeva un fattorino del telegrafo. Il domani di san Stefano erano tutti lì dalle sette, davanti la porta del Caffè, sotto la pioggia, coll'ombrello aperto, ansiosi, guardandosi in cagnesco fra di loro - delle facce nuove che si vedevano soltanto nelle grandi occasioni, pastrani senza pelo e stivaloni infangati, scialli messi a guisa di pled, cappelloni di donna e sottane che sgocciolavano sul marciapiedi.
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